Mi sono addentrato in punta di piedi e con molta circospezione fino alla radice dei sogni e là, dove non giungono i raggi del sole e la realtà è come un buco nero che ingoia ogni cosa, l’ho scorta. Le sue zanne luccicavano nel buio e i suoi occhi gialli erano un libro aperto. Guardandola, come ipnotizzato, ho preso coscienza dei dolori degli uomini, delle loro ipocrisie, delle incomprensioni, delle violenze dissennate e delle loro debolezze. Mentre piangevo, se non mi fossi stretto al tronco di un vecchio albero nodoso, probabilmente la tigre si sarebbe impossessata della mia dignità di uomo. Saltando come un acrobata, tra rami abbattuti del bosco e ostacoli improvvisi che si paravano innanzi a me, ho ritrovato la strada di casa, pur sentendomi inadeguato. Un libriccino magico mi aveva protetto: la silloge poetica di Moka.
Recensione di Gianpiero Pisso