Se mi dovessi chiedere cosa c’è di là dei versi di questo libro, la risposta più confacente, a mio avviso, sarebbe quella di un accenno, seppur lieve, alla personale problematica esistenziale da te vissuta. Le motivazioni inconsce sono presenti e importanti nei tuoi versi, perché hai dato ascolto a quella parte di te che ancora stenta a manifestarsi, ovvero quella di una bambina che con la parola cerca di fissare lo sguardo (l’occhio della tigre) nell’oscurità del proprio io; e ciò non significa altro che malessere. Un malessere che percorre la tua poesia in una ineludibile tematica i cui tratti appaiono identificati nell’acqua, umido utero che mette in evidenza potenziali vitalità che confermano la desolazione e le epifanie di salvezza che, attraverso questo elemento, vuoi raggiungere una piena conoscenza di te e dell’altro. Pur osservando la realtà, ti interroghi per spiegare i sentimenti, ma come se partissi da un vuoto, con un’ombra di incomprensibilità alla quale non sai rispondere. Ma non è questo il destino di ogni scrittura? L’eterna ricerca dell’inespresso. Si potrebbe pensare, anche, che quegli uomini e donne lì presenti sono solo un’idea, senza un soggetto reale che li rappresenti. Amore e ripulsione da cui si generano e nel quale si sciolgono, trapassano e sfumano per farsi impenetrabili e opachi. E, si sa, dall’accettazione di questo spaesamento dipenderà in gran parte il tuo destino.
Vincenzo Paglione, insegnante di lingua e cultura spagnola